Zanzibar, l’arcipelago delle spezie
Zanzibar è nome evocativo che tutti, forse non conoscendone l’esatta posizione geografica, hanno sentito nominare. Zanzibar è un arcipelago della Tanzania, nell’Oceano Indiano al largo della costa orientale dell’Africa.
Evocativo, come dicevo, di acque di cristallo, di infinite spiagge abbaglianti, di esotico relax balneare, di tramonti emozionanti, di immagini da cartolina. E di queste immagini sono pieni i cataloghi di viaggi, le riviste, i filmati che in modo seducente ci invitano a visitare questa terra lontana.
Motivi tutti validissimi per affrontare il viaggio… ma a me piacerebbe darvi uno stimolo diverso per avvicinarvi a questa terra meravigliosa e per rimanerne incantati.
Zanzibar, conosciuto anche come l’arcipelago delle spezie, è costituito da tre isole principali e più conosciute: UnguIa (Zanzibar, appunto), Pemba e Mafia, e numerose isole minori, molte delle quali disabitate.
Fin dai primi secoli della nostra era, lungo le rive della zandj barr (la “terra dei neri”, com’era chiamata la costa dell’Africa Orientale dai mercanti arabi e persiani), approdarono navigatori e commercianti persiani e arabi, che svilupparono un fiorente commercio di avorio e schiavi in tutto l’Oceano Indiano. Nell’Ottocento il sultano dell’Oman e di Zanzibar trasferì la capitale dell’Oman da Muscat a Zanzibar, e l’arcipelago diventò il fulcro di un vasto impero economico basato sul commercio d’avorio, schiavi, e sulle piantagioni di chiodi di garofano. Questa spezia, in particolare, fu prodotta in tali quantità che, alla metà dell’Ottocento, Zanzibar conquistò il monopolio mondiale.
Nel 1964 a Zanzibar vi fu una sanguinosa rivoluzione che liberò le etnie africane dal potere dei sultani arabi e dal giogo coloniale britannico, diventando una Repubblica indipendente. Il governo tentò lo sviluppo industriale e la diversificazione economica, ma non riuscì a spostarsi molto dalla monocoltura del chiodo di garofano. La crisi del mercato del chiodo di garofano, alla metà degli anni ’80, indusse il governo a cercare nuove entrate di valuta. Zanzibar si aprì all’occidente e sviluppò una politica d’incentivazione turistica e nuove tipologie di produzione. Nell’ultimo decennio il turismo è quindi aumentato esponenzialmente, e nello stesso periodo si è sviluppata indipendentemente una peculiare coltivazione: le alghe.
In quasi tutto il litorale della parte orientale di Zanzibar, nella zona compresa tra la riva e la barriera corallina, si possono vedere centinaia di piccoli paletti affioranti con la bassa marea, tra i quali vi sono masse scure di alghe. Questa coltivazione, introdotta a Zanzibar nel 1989, produce alghe che vengono esportate in Danimarca e nelle Filippine, dove sono utilizzate per la produzione di addensanti per cosmetica, medicina, cucina, pasticceria e birreria.
Decine di donne, vestite dei colorati parei tradizionali (kanga), si spostano tra i campi di alghe, s’inchinano, si parlano, scherzano, ridono, in una sorta di lentissima danza, dalle movenze sensuali. Zanzibar è particolarmente favorevole per questo tipo di coltivazione: la presenza di estese zone costiere protette dalla barriera corallina, di acque calde e ricche di nutrienti, permettono elevati tassi di crescita giornalieri.
I campi sono evidenziati dalla presenza di bastoni piantati nella sabbia a distanza di circa 30 cm, che, durante la bassa marea, emergono dalla superficie dell’acqua. I bastoni sono collegati tra loro da fili sui quali vengono attaccati pezzettini di alghe, che in circa due settimane riformano una massa algale pronta per la raccolta.
Le donne si caricano sulle spalle sacchi pieni di alghe e li trasportano sulla riva, qui vengono lasciate ad essiccare su rastrelliere o su stuoie per qualche giorno. Spessissimo alla raccolta delle alghe partecipano anche i bambini che, tra risa e schiamazzi, aiutano madri o sorelle nel lavoro di trasporto a riva. In meno di un decennio, la crescente produzione ha portato questa coltivazione ad essere tra le prime fonti di valuta estera, seconda solo alla storica produzione del chiodo di garofano e davanti alla promettente e crescente industria turistica.
La coltivazione delle alghe ha portato una rilevante crescita economica nelle aree orientali dell’isola in cui viene praticata. Questo è ancor più importante se si tiene conto che le zone orientali di Zanzibar sono caratterizzate da ambiente roccioso e clima arido dove, in precedenza, l’unica fonte di reddito era data da coltivazioni di manioca per la sola sussistenza degli abitanti. A Paje, il principale villaggio della costa orientale, lo standard di vita è cresciuto, la popolazione è aumentata e sono state costruite infrastrutture sanitarie soprattutto per i bambini.
La bellezza paesaggistica dei litorali della parte orientale di Zanzibar, con enormi spiagge dalla sabbia farinosa, ha attirato investitori stranieri nel campo del turismo, e negli ultimi due decenni sono sorti numerosi complessi turistici. Spesso, purtroppo, vi sono stati attriti tra i gestori delle spiagge e i gestori dei campi di alghe.
Io vorrei testimoniarvi invece la mia estrema meraviglia nell’incontrare personalmente queste realtà, nel godere del privilegio di vivere le tradizioni di Zanzibar semplicemente passeggiando lungo la spiaggia, incontrando piccole mandrie di animali al seguito di queste donne affascinanti, variopinte come fiori e dalle movenze eleganti, che lavorano con il sorriso e la tranquillità dei tradizionali lavori femminili di Zanzibar…
Segue!