Quando l’arte si fa viaggio
I più ne parlano come di un Park Güell d’Italia, ma, per quanto la stessa Niki de Saint Phalle abbia dichiarato di esservisi ispirata, sono convinta che il legame del Giardino dei Tarocchi con una delle opere più famose dello spagnolo Gaudì sia molto effimero e non sia l’unico degno di nota.
Non so a voi, ma l’idea che una realizzazione artistica sia celebre più per la somiglianza con una ancor più famosa che per sé stessa mi suscita qualche perplessità, oltre al pensiero che certi richiami rischino di far passare in secondo piano i tratti distintivi e del cosiddetto imitato e del cosiddetto imitatore.
Forse, però, voi vi starete chiedendo “Che diamine è il Giardino dei Tarocchi?”.
Siamo in Toscana, Maremma per essere precisi, Capalbio per puntare alla perfezione e Pescia Fiorentina per essere perfetti: a spezzare le geometrie dei campi coltivati si trova un piccolo bosco che custodisce 22 installazioni colorate e gigantesche ispirate dagli altrettanti arcani maggiori dei Tarocchi ad un’originalissima artista di origine francese, Niki de Saint Phalle, la quale ha dedicato quasi un terzo della sua vita alla realizzazione di questo giardino sui generis.
La storia della nascita di questo parco è narrata un po’ ovunque, ma niente più del racconto dell’artista consente di capire le ragioni profonde che l’hanno spinta all’impresa e sostenuta nella sua realizzazione. E sono sempre le parole di Niki de Saint Phalle che ci mostrano quanto il richiamo a Gaudì possa venire naturale, ma non sia l’unico né consenta di cogliere l’essenza da cui è sbocciato l’intero giardino e che quest’ultimo continua a custodire.
A ben guardare, in effetti, la distanza tra il giardino di Niki e quello di Gaudì non è solo geografica e lunga cinquant’anni: se mettere in scena i tarocchi equivale ad installare creazioni simboliche nella natura, nel caso del Park Güell è l’arte che cerca di rendersi naturale, di imitare l’ambiente in cui si vuole inserire; anche la finalità dei due parchi non poteva essere più lontana con Gaudì impegnato a concepire un vero e proprio quartiere per benestanti- secondo la volontà del suo committente Eusebi Güell, che solo le difficoltà di vendita hanno reso il parco pubblico che oggi conosciamo (non tutto il male vien per nuocere?), mentre l’artista francese era mossa dal desiderio di creare un “parco della gioia”, quasi un giardino nella corrente rinascimentale.
Certo il mosaico di materiali e colori e le linee morbide ci illudono di una somiglianza, ma, forse, quello che unisce le due opere, è solo la sensazione di meraviglia che si prova nel percorrerle, suscitata dalla pace che si respira nel Park Güell e, nel Giardino dei Tarocchi, dal fatto di trovarsi fuori dal mondo o, magari, in un altro mondo.
La scelta dei Tarocchi come tema è forse proprio l’elemento caratterizzante di questo luogo al punto da renderlo unico nel suo genere per cui, pur riconoscendo il legame con la variegata tradizione del giardino rinascimentale e barocco e non potendo negare una vicinanza con l’atmosfera onirica del Sacro Bosco di Bomarzo, il Giardino di Niki the Saint Phalle mi sembra brillare di una luce propria: non si presta solo per essere attraversato come fosse un mondo incantato, ma può divenire “percorso individuale” lungo il quale i Tarocchi si fanno strumenti di navigazione seguendo l’incoscienza del Folle che si getta nelle novità e stemperandola con la moderazione che insegna la Temperanza.
Al di là di ogni tentativo di cercare spiegazioni e significati, quello che credo dovrebbe guidare nel girovagare per il Giardino resta comunque la libertà di godersi questo luogo a piacimento sia come “impegno” sia come rotta da seguire, dato che Niki non ha voluto imporre alcun percorso predeterminato. Del resto le carte sono un gioco e altrettanto spensierati sono le luci e i colori che rivestono ogni installazione, anche quella che la simbologia ci fa risultare più cupa.
Tutto questo parlare, inoltre, non vuole e non può rendere superflua una passeggiata in questo giardino fantastico (o esoterico, per chi subisce il fascino dei Tarocchi), soprattutto considerando che camminare tra arte e natura significa avere la possibilità di guardare e toccare per portare con sé almeno un ricordo indelebile, mentre le parole possono restare sulla “carta”, ma volare via dalla nostra mente.
Allora è il caso di sfruttare le aperture atipiche delle stagioni autunnale e invernale, la cui frequenza sarà anche più rada, ma dubito riduca la suggestività del luogo.
Laura Alice&ilGatto Antoniolli