L’isola che non c’è
Avevo deciso di puntare a Nord, ma poi la curiosità punta dove capita e mi sono trovata a chiedermi cosa avrei fatto se per una serie di fortunati eventi mi fosse capitato tra le mani un biglietto aereo per Grenada.
All’inizio avrei pensato che avessero commesso un errore nello scrivere il nome della mia destinazione (Grenada? Ma non era Granada?), quindi avrei preso il planisfero e sarei andata a verificare: “eh, sì, hanno proprio sbagliato!” avrei concluso. Poi, siccome a volte un barlume di genio si affaccia nella mia mente, avrei deciso di fare una seconda verifica prima di starnazzare un reclamo al servizio clienti della compagnia aerea, accusandola di volermi creare problemi all’imbarco (alla faccia di chi si preoccupa delle crisi mondiali, per me resta essenziale l’ortografia dei documenti di viaggio). E sarebbe stato così che avrei scoperto che avevano ragione loro: Google indica un’isola ai Caraibi e se lo dice lui, io mi fido.
Sapere dove si trova un luogo serve però a poco se l’obiettivo è toccarlo con mano e, in questo caso, trasformare un nome in una meta di viaggio pare alquanto impegnativo: nemmeno l’“Atlante delle isole remote. Cinquanta isole dove non sono mai stata e mai andrò” cita questo nome. Forse è questa l’isola che non c’è…
Due scali mi separano dalla mia destinazione il che me la fa somigliare a un miraggio e se, per evitare uno sforzo titanico, decidessi di inserire delle soste intermedie (New York? Miami?), finirei per assurdo per allontanarla ancora di più, almeno in termini di tempo, quindi mi decido per il trasferimento tutto d’un fiato. Come se non bastasse la distanza, però, ci si mettono anche i fraintendimenti: la chiamano l’isola delle spezie, ma questo soprannome non spicca per originalità dato che anche Zanzibar e le Molucche sono note per motivi analoghi, quindi vai a capire per quale motivo si sia lasciata appioppare un soprannome che confonde anziché esaltarne l’unicità. Sembra quasi non si voglia far trovare. I sospetti crescono sino a sfiorare la certezza quando realizzo che Grenada è invischiata con la Grenadine che fa sempre coppia con St. Vincent, ma che in realtà si deve parlare delle Grenadine (che diventa più chiaro siano plurali nella versione inglese “Grenadines”).
Viste tutte le premesse atterro sull’isola con qualche diffidenza, come se corressi il rischio di vedermela affondare sotto i piedi (altro che innalzamento degli oceani) e, a ben guardare, potrebbe anche accadere data l’origine vulcanica del territorio, ma sono ottimista e spero che il vulcano attivo che ha creato qualche preoccupazione lo scorso Luglio riesca a trattenere il suo scalpitare. Questo mio affidarmi alla buona sorte è per altro una costante, tant’è che non mi sono nemmeno definita un vero e proprio itinerario prima della partenza e opto per l’assecondare il vento dell’ispirazione del momento, buttando a mare la preoccupazione di ripartire senza aver visto qualcosa che le guide citano come unico e imperdibile insieme all’impossibilità di prolungare una tappa che potrebbe entusiasmarmi più di quanto potrei prevedere. Ho soltanto individuato un mazzo di curiosità che voglio soddisfare:
giro completo dell’isola per piantare la bandierina in tutte le spiagge, a partire dall’apparente superficialità suggerita da Pink Gin Beach e Magazine Beach, fino all’altrettanto apparente impegno intellettuale che nasconde La Sagesse Bay;
visita della capitale St. George’s il sabato in modo da potermi godere il mercato in aggiunta al fascino della cittadina (magari facendo un salto al Fort George per contemplare il promontorio occidentale del porto e i tetti rossi delle case);
sosta alla River Antoine Rum Distillery in onore ai luoghi comuni dei Caraibi e dei Pirati e alla mia curiosità;
capatina alle altre due isole maggiori dello Stato di Grenada, Carriacou e Petite Martinique con inevitabile tragitto via mare.
E che sia chiaro: la lista è breve non per carenza di idee, ma per garantirsi il successo!
La vera chiave per il successo comunque sta nella combinazione di un mezzo 4×4 con una sintetica, ma efficace mappa: siamo in un’isola fuori dalle rotte turistiche più battute per cui il problema non è la giungla del traffico, ma la vegetazione tropicale con i sui percorsi non sempre lineari per raggiungere la costa e le spiagge (a ciascuno la propria). Non pensate comunque di poter trascurare l’interno dell’isola che offre, grazie ai suoi sentieri, la possibilità di escursioni più o meno intense a seconda della preparazione e dell’abnegazione del viaggiatore. Certo non ci si può aspettare di trovarsi di fronte a fiumi amazzonici o cascate senza fine, ma la natura rigogliosa e scenari inusuali possono bilanciare le dimensioni contenute di questi luoghi. Se volete allontanarvi dalla costa e scoprire l’entroterra, è sicuramente la direzione del Grand Etang National Park & Forest Reserve quella che dovete seguire e, giunti sul posto, troverete tutte le indicazioni necessarie per trovare il percorso che fa per voi.
La mia vena solitaria mi impone di lasciare la visita a Carriacou e Petite Martinique nella parte terminale del viaggio per potermi gustare a pieno la sensazione di rimpicciolimento del mondo: un po’ come stessi giocando con le matrioske, parto da un’isola- Grenada, per attraccare su un cono vulcanico- Petite Martinique- che vive di pesca, passando per un lembo di terra- Carriacou- che ospita tanti uomini (6.000) quante capre e che è considerato un paradiso per la subacquea. Questo non significa che i due mondi in miniatura non meritino una sosta, al contrario dedicare una giornata a ciascuno dei due consente di gustare il senso del vivere in luoghi tanto remoti da apparirci irreali.
Quanto sarà doloroso il rientro nella civiltà caotica? Potrebbe valere la pena restare nell’ignoranza.
Laura Alice&ilGatto Antoniolli